Scafi  1982
“Scendiamo ancora un gradino, ed ecco l'estraneità: accorgersi che il mondo è 'denso', intravedere fino a che punto una pietra sia estranea e per noi irriducibile, con quale intensità la natura, un paesaggio possano sottrarsi a noi. Nel fondo di ogni bellezza sta qualche cosa di inumano, ed ecco che le colline, la dolcezza del cielo, il profilo degli alberi perdono, nello stesso momento, il senso illusorio di cui noi li rivestivamo, più distanti ormai che un paradiso perduto”. Albert Camus





















“Scendiamo ancora un gradino, ed ecco l’estraneità...”.
Fu questo brano, tratto da Il Mito di Sisifo di Albert Camus, a farmi abbandonare i velleitarismi filosofici. Non era la filosofia che cercavo ma la parola potente dei romanzieri e dei poeti. Quelle parole così evocative esprimevano in modo verosimile lo sgomento quotidiano, provato allora, davanti a una realtà così presente, tanto sezionata, analizzata e tuttavia così irriducibile, così lontana.
Passarono diversi anni e a fine estate del 1980 trovai la soluzione per affrontare questo aspetto, diciamo così, dell’irriducibilità del reale, con una modalità fotografica tra le più congeniali. Questa modalità, da me utilizzata anche per altri progetti, consiste nella possibilità di approfondire un certo argomento attraverso una sorta di ostinata variazione sul tema; ecco, la musica che viene in aiuto, sostanza impalpabile ma sempre presente. Un tardo pomeriggio settembrino passeggiavo in una spiaggia non lontana da Cagliari, quando lo sguardo si soffermò su alcuni scafi rovesciati e bianchissimi, proprio come grandi ossi di seppia. La zona deserta e il silenzio completarono la suggestione. Scafi tanto utili e perfetti in mare, quanto belli e inutili sulla sabbia, queste forme pure apparivano estranee, soprattutto al paesaggio circostante: muri, cemento, recinzioni e lampioni in riva al mare. Cominciai a fotografare e così si snodò la ricerca. Certo in quella prima spiaggia, proprio come un miraggio, c’era già tutto ciò che mi serviva, persino l’imbrunire. Quale stimolo migliore per costruire l’ostinata sequenza con gli scafi. Come sempre nessun preconcetto, nessuna protesi “professionale” e con una 35mm optai per le focali corte perché mi interessava evidenziare il vuoto tra le cose, con un vezzo un po' espressionista, anche se a discapito di qualche deformazione. La priorità era l’inquadratura, e in fondo, il rigore ortogonale neanche si addice a questo lavoro.
Alla fine del 1982 con queste fotografie, allestii la mostra col titolo “Scafi”, nella Galleria Photo 13 a Cagliari.
Per chi non ha letto il libro di Camus, aggiungo che in questo mio lavoro vorrei evocare un altro protagonista di quelle lucide pagine: l’Assurdo. Non appare nel titolo assieme a Sisifo ma è altrettanto importante. Difficile per me parlarne se non a rischio di una insopportabile retorica. Mi affido al silenzio delle immagini*.

* Ancora Camus “I miti sono fatti perché l’immaginazione li animi ... Il macigno rotola ancora”. Venticinque anni dopo, nel 2007 ho intitolato “Sisifo al semaforo”, un’altra ricerca fotografica sempre sul tema del confrontarsi con l’assurdo, dove il famoso macigno è assimilato al semaforo che, come lui, ritorna al punto di partenza, senza fine.